LEI si muove danzando nello spazio.
A piedi nudi batte il tempo di un ritmo ancestrale sul parquet della grande sala. Dalle vetrate si vede il bosco.
Non è sola. Balla giocando con altre donne.
Ognuna ha orecchie di volpe che spuntano impertinenti dai capelli.

LEI ha 3 anni e cammina trotterellando dietro suo padre sul viottolino dell'orto, fino al filare dei pomodori. I pomodori, così le ha detto lui indicandoglieli, sono quei cosi tondi e rossi che si vedono spuntare tra le foglie.
LEI si alza sulla punta dei piedi e con le dita arriva a toccarne uno. Lo tira, lo stacca dalla pianta, lo avvolge con la manina e lo porta alla bocca. Un'odore forte pervade le sue narici. Lo respira e poi morde. "È buono" pensa, mentre un po' di succo schizza sulla sua maglietta.

LEI sta partorendo. È seduta sul bordo laterale del letto a gambe aperte, coi piedi poggiati sulle ginocchia dell'ostetrico che si è sistemato su uno sgabellino di fronte.
Il dolore è insostenibile.
LEI crede che morirà. Invece con un'ultima spinta nasce.

La barca trasporta al massimo 12 persone che possono sedersi solo all'esterno, esposte al vento e all'oceano. Appena uscito dalla baia di Portmagee il guscio di noce dondola paurosamente, inclinandosi fino a 45 gradi. Dopo pochi minuti LEI è fradicia da capo a piedi. Le onde grigie sono alte quanto e più della barca e LEI, aggrappata con entrambe le mani alla sua postazione, resiste alle secchiate d'acqua che le arrivano addosso e alla paura, fissando la nuca del comandante in cabina. L'arzillo vecchietto guida in quel delirio, con lo stile di uno che sta pedalando in campagna in una giornata di sole. L'unico altro membro dell'equipaggio è il marinaio, che dopo aver distribuito cerate e secchi, se ne sta in piedi come se fosse sulla porta del bar a guardare il passeggio invece che un girone infernale.
8 persone stanno vomitando contemporaneamente quando LEI comincia a cantare, prima con un filo di voce poi sempre più sicura. Canta e il suo canto si perde tra Il rumore del motore, quello dell'oceano e quello dei conati degli altri passeggeri. Canta, completamente bagnata, canzoni che sanno di acqua salata. Canta con la stessa determinazione che le è servita per arrivare a prendere quella barca.
Canta ancora quando, tra un'onda e l'altra, appare finalmente la sagoma di Skellig Michael.

È il suo primo giorno di scuola elementare e LEI sta disegnando sulla prima pagina del primo quaderno della sua vita. Il maestro ha detto di fare un disegno a piacere e come mai allora lui si stupisce così tanto quando passa vicino al banco e vede il suo? Che ci sarà mai di strano in una montagna marrone dalla cui cima escono fiamme gialle e rosse?
"Hai disegnato un vulcano!" esclama.
LEI non lo sa cos'è un vulcano ma di sicuro non è una roba bella, perché lui chiama la maestra della classe vicina per farglielo vedere e poi entrambi ridono.
LEI si guarda intorno e si accorge che gli altri bambini hanno disegnato casette e fiorellini, allora si vergogna e il suo viso prende fuoco come la montagna.

Noi tutte siamo qui ora. Insieme. In un'insolita e bizzarra combinazione come gli ingredienti che ho scelto per il mio poke'. Li guardo perplessa nella bowl. Mi sarebbe piaciuto avere 10 piatti, uno per ogni componente, prima di mescolarli. Non tutti, non subito e non sempre. Un po' alla volta, ogni tanto e forse, dopo averli "conosciuti" singolarmente, a coppie o a gruppi, solo allora avrei voluto con-fonderli in un unico boccone. Invece sono lì ora. Insieme.
Come tutte noi.
Vuoi tu quinoa unirti al qui presente salmone? O forse preferisci accoppiarti con la zucchina? Magari una robetta a tre?
Se qualcuno dei presenti ha cose da dire, parli ora o taccia per sempre!
Parli ora, prima che l'esercito del riso bianco invada il territorio del tonno fresco, prima che lo stato dell'avocado venga annesso a quello della cipolla rossa, prima che piova la salsa di soia.
Parli ora, prima che un'astronave aliena a forma di forchetta piombi dall'alto, perché dopo niente sarà più uguale.

E alla fine mangio la mia creazione.
Mangio il poke' e mangio me stessa.
Giù un boccone poi un altro e un altro ancora, mentre penso, sorridendo, che questo miscuglio non è poi così male, come non lo sono tutte le LEI che contengo.
Ad un certo punto alzo lo sguardo e solo in quel momento mi accorgo dell'insegna con su scritto il nome del locale dove mia figlia mi ha portato a cena. Fa ridere e contemporaneamente sembra un monito, un avviso per me, quasi una direzione. Riprendo allegramente il mio pasto seguendone il consiglio lampeggiante:
"POKE' STORIE"

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