Non si può dire che il nostro sia stato un colpo di fulmine. Lo definirei semmai un colpo... .al cuore.

Di mestiere faccio la fisioterapista e l’ho conosciuto al lavoro. Si chiamava Ennio.
Un inizio quasi banale per un amore.
Ma io avevo 44 anni e lui 10 mesi.
Non poteva durare.

La prima volta che l'ho visto dormiva sul passeggino.
Sussultai di fronte alla gravissima deformità.
Non è vero che ci si abitua.

Per tutto il tempo del colloquio con la mamma, pensai a come avrei fatto a trovare il coraggio di toccarlo. Alla fine si svegliò e io timidamente mi avvicinai.
Decisi per un contatto periferico, diciamo, e gli sfiorai appena appena la mano. Inaspettatamente però lui mi afferrò il dito e lo strinse forte.
È incredibile l’energia in grado di sprigionarsi da un gesto apparentemente così semplice. Ne porto ancora le tracce.
Ricordo come in quel momento mi sentii trasportare in una dimensione “altra”. Lontana dalle coordinate conosciute dello spazio e del tempo e vicina, come non ero mai stata, all’essenza di un essere umano, che nonostante tutto, sapeva comunicarmi il suo esserci.

Da quel giorno abbiamo cominciato a “frequentarci”.
Lo vedevo più volte alla settimana e durante le sedute di fisioterapia mi chiedevo come facesse la sua mamma ad essere così spesso sorridente malgrado la situazione.
Lei mi raccontava di avere dei momenti di grande sconforto e anche di come si sentisse contemporaneamente fortunata per il fatto che lui l’avesse scelta come madre. Mi diceva che la sua presenza le aveva fatto scoprire cose bellissime di se stessa. Mi parlava di risorse inaspettate che senza Ennio non avrebbero visto la luce e di quanta gioia questo bambino portasse nel quotidiano.
Riusciva pure a scherzare sul suo aspetto. “Arrivi di certo da un altro pianeta. Magari sei un abitante di Giove con quel testone!” gli ripeteva…

Io, affascinata dalla capacità alchemica di questa donna di trasformare la sofferenza in qualcos'altro (e, soprattutto, notoriamente incline a prendere sul serio cose apparentemente da ignorare e viceversa), cercai su internet notizie su Giove e fantascienza.

"Chi cerca trova", dice il proverbio e infatti tra i vari articoli deliranti ne scovai uno dove si parlava dei “Gioviani” come di esseri multidimensionali che accettano la missione di tornare indietro nel passato, incarnandosi sulla terra per imparare lezioni d’amore.
Mi parse plausibile.

La mia "storia" con Ennio terminò dopo pochi mesi perché lui se ne andò.
Quel nostro tocco iniziale invece vive ancora in me. È il silenzioso testimone della possibilità di un contatto cosi profondo da travalicare i tradizionali canali comunicativi e io mi scopro a ricercarlo ogni volta con le persone importanti della mia vita.

Il biglietto di auguri di Natale che la sua mamma mi scrisse, firmandolo Ennio, l’anno che fui la sua fisioterapista, esprime in pieno l’intensità della nostra breve "relazione".

È una frase tratta da una poesia di Walt Whitman e dice così:

"Ora ci siamo incontrati, ci siamo guardati, siamo salvi".

 

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