Nel mezzo di un gelido inverno, per dirla alla Peaky Blinders, esco di casa una mattina per andare al lavoro. Sono tornata la sera prima da una vacanza, durante la quale sono stata cosi bene, che mi costa parecchia fatica rientrare nel quotidiano.
Mi sento come una di quelle tende della Quechua che fece tanto scalpore quando uscì sul mercato. Chi non ricorda la pubblicità in cui veniva lanciata in aria e magicamente si apriva in volo?
Un amico ne comprò una, ma la prima volta che la usammo non riuscì a rinfilarla nell'involucro e tornammo a casa stipandola ancora mezza aperta sui sedili posteriori dell'auto!
Eccomi stamattina. Sono come lei. Occupo più della metà dell'abitacolo della mia vita con la voglia di ripartire subito e non c'è verso di ripiegarmi per rimettermi nella custodia.

Andare via e tornare a casa.
Lo spostarmi tra questi due mondi è il viaggio più difficile, un'arte che sarebbe bello padroneggiare meglio.
Mi piacerebbe fosse un movimento naturale, come inspirare ed espirare, dove ognuna delle due fasi sia di sostegno all'altra. Invece sto in apnea e fantastico nuove partenze.
Per niente realista, mi rifiuto di "stare coi piedi per terra", quando improvvisamente inciampo, perdo l'equilibrio e cado.
"Torre di controllo aiuto sto finendo l'aria dentro il serbatoio" canta Bersani, io invece resto muta mentre precipito e istintivamente allungo le braccia in avanti, atterrando col palmo delle mani sull'asfalto. Bruciore forte, come quando mi sbucciavo le ginocchia da bambina.
Rimango stesa a quattro di bastoni. Incredula.
Una parte di me esce dal corpo, tipo viaggio astrale, e mi guarda dall'alto. Cappotto nero pantaloni neri, borsa nera ancora sulla spalla. Assomiglio a una bizzarra macchia di inchiostro in mezzo alle macchine del parcheggio deserto.
Mi rialzo dolorante. Faccio un check up della situazione. Niente di rotto, solo due abrasioni sanguinanti, tipo stimmate, che per settimane mi ricorderanno l'accaduto. Dolorosi dati di realtà.

Nel mezzo di un gelido inverno di diversi anni fa, durante una cena importante, in cui si festeggiava il pensionamento di qualcuno, uscii con qualche collega a fumare.
Il fumo fa male, è noto, ma io non sapevo ancora in quanti modi si potesse declinare questa affermazione.
Faceva cosi freddo che appena finito decidemmo di rientrare. Ero la prima del gruppetto degli evasi, e con fare sicuro mi avviai verso l'interno, dove vedevo gli altri rimasti al caldo a chiacchierare intorno al tavolo. La grande porta a vetri della casa in campagna che ci ospitava, era così pulita che sembrava non esistere. Invece non solo esisteva ma era pure chiusa. Lo scoprì per primo il mio naso il quale non riuscì a informare in tempo la mia faccia, che, nella frazione di secondo seguente, si spiaccico' con fragore insieme al resto del corpo contro il vetro, per fortuna senza romperlo.
Non so se vi è mai capitato di guardare lontano, metaforicamente parlando, e non accorgervi di ciò che avete davanti agli occhi, finendo per sbatterci contro.
Io lo stavo sperimentando fisicamente.
Un muro invisibile aveva arrestato la mia marcia trasformandomi in un attimo da donna a geco.
Tutti si sganasciavano dalle risate mentre cercavo di reincarnarmi nella specie giusta.
Che figura di merda!
Poi qualcuno mi ha soccorsa e fatta accomodare su una sedia. Qualcun'altro mi ha messo un bicchiere di vino in mano. Avrei voluto fosse cianuro.
Hanno continuato a prendermi in giro per il resto della serata, indicando ogni tanto la forma delle mie labbra rimasta sul vetro per via del rossetto. Come un bacio a stampo. Vergognoso dato di realtà.

Nel mezzo del gelido inverno della sua vita, mia mamma sta perdendo la memoria.
Mi impegno a farle compagnia ogni tanto dedicandole il mio tempo e lei mi ripaga inconsapevolmente con perle di saggezza provenienti da un'altra dimensione. Quella in cui vive ora.
La prima volta che siamo state insieme da sole per un intero pomeriggio, le ho chiesto di fare una torta. A lei piaceva cucinare e io mi ero immaginata di poter recuperare questa sua abilità, come un trait d'union tra il passato che conoscevo e il presente al quale non sapevo come rapportarmi. Le ho fatto sfogliare alcuni libri di ricette. Lei guardava le foto dei piatti come fossero quelle di lontani parenti vissuti nel secolo scorso, di cui nessuno ricorda piu il nome.
Poi ad un certo punto è riuscita a dirmi una frase senza sbagliare nessuna parola: "Io ho smesso".
Ha sorriso e ripetuto con maggior sicurezza: "Ho smesso!".
Ha alzato una mano indicando oltre la finestra di cucina e ha continuato: "Là, dove fanno il pane, ci sono anche le torte. Io le compro".
È facile. Arriva il giorno in cui ti accorgi di poter smettere. Smettere di fare le torte, di rincorrere, di insistere, di farsi del male, di... e ognuno scriva a suo piacimento sui puntini.
Smettere e ciao. Senza spiegazioni. Il resto del mondo si adeguera'.
Con questo dato di realtà mia mamma ha in qualche modo scritto un nuovo capitolo della sua storia e conseguentemente anche della mia.

Nel mezzo di un gelido inverno ho trovato riparo. Aspetto qui la primavera

 

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