Io mi sono innamorata.
Di un libro.
Eh oooh..
S'intitola "La polvere del mondo".
L'autore, Nicolas Bouvier, nel '53, all'età di 24 anni, parte da Ginevra a bordo di una Fiat Topolino, raggiunge a Belgrado il suo amico pittore Thierry Vernet e insieme affrontano il viaggio verso Samarcanda.
Mi sono innamorata di come scrive, del suo sguardo capace di sostare sui piccoli dettagli senza perdere l'orizzonte, della poesia di certe immagini, del coraggio di partire all'avventura nel tempo prima di internet e del cellulare. Mi sono innamorata del mondo che racconta e anche della polvere.

Ma la cosa buffa è che lo seguo su maps!
Cosi, dopo i Balcani e l'Anatolia, adesso (io, Nicolas e il suo amico) siamo arrivati a Teheran ed è primavera.
Per uno strano caso del destino è primavera anche in questo piano di realtà e ciò rende tutto molto confuso.

Mentre leggo mi accorgo di quanto mi nutra viaggiare e, diciamoci la verità, io ho fameee!

Basta col "detox" degli ultimi due anni di pandemia....mi faccio un panino, anzi no, mi faccio lo zaino!
Allontanarmi dal quotidiano, specie se non è un granché come in questo momento, vuol dire "cibo di altissima qualità".
Andare via per un po'.
Dispormi in quello stato d'animo di apertura alla meraviglia che mi fa essere più sensibile a cogliere anche i particolari e le sfumature.
Contattare di nuovo, insomma, quella parte di me che viene fuori quando sono nello straordinario ed essere poi capace di riportarla a casa, per imparare ad esprimerla pure nell'ordinario.

Si dice che in viaggio siamo più curiosi.
Si dice che siamo anche maggiormente disponibili ad accogliere la singolarità delle persone che incrociamo.
Qualche volta però gli incontri possono essere talmente surreali da chiedersi, anni dopo, se siano avvenuti veramente. Tezla dice di sì.

Montagne a nord ovest del Montenegro.
Dietro una curva in salita, nel Durmitor, un distinto (per come si può essere distinti nel Durmitor) signore di una settantina d’anni, incredibilmente vestito di tutto punto, con un completo giacca e pantaloni a quadri, era comparso a bordo strada.
Talmente fuori luogo che sembrava provenire da un altro pianeta.

Come se non bastasse, aveva appesa al collo una piccola scatola da cui usciva una debole musichetta. Forse una radio marziana?

Insomma ci aveva fermati con un cenno e, a gesti e parole aliene, si era fatto capire: voleva salire. Senza opporre resistenza, quasi sotto shock, lo abbiamo caricato e trasportato per un po’. Mi veniva da ridere. Evitavo accuratamente di guardare Tezla, che era alla guida, perché lo sentivo, stavolta, in barba al suo aplomb, stava faticando anche lui a non farlo.
Sarebbe stato imbarazzante.
L’uomo pero' non sembrava essere interessato ad ulteriori scambi comunicativi con noi.
Solo la musica (di qualche stazione celeste?), proveniente dalla radiolina che portava con sé, faceva da flebile colonna sonora all'assurda situazione.
Dopo diversi chilometri, nello stesso modo in cui aveva chiesto di entrare in macchina, l’uomo volle scendere ad un incrocio dove, tra poche case, c'era l’equivalente di una baita alpina, che fungeva anche da bar di quella parte dell’altopiano.
Parcheggiammo. A quel punto scendemmo tutti. Noi entrammo nel locale, lui sorprendentemente no. Lo guardammo dalle finestre allontanarsi e proseguire per l'unica strada. Quella che avremmo ripreso anche noi dopo pranzo.

Considerato che era l’unico essere umano che avevamo incontrato da parecchie mezz’ore, Tezla si chiese quanto tempo l’anziano signore sarebbe stato disposto a camminare senza che qualcun’altro lo raccattasse.
Ad ogni buon conto, per sicurezza, non si rispose.

L'altra settimana un mio amico è partito per un viaggio di un mese in Cambogia. Gli ho chiesto di mandarmi la sua posizione via via e sto seguendo anche lui su maps.
Le sue foto si mescolano alle immagini del libro che sto leggendo, andando a comporre un mosaico fuori dallo spazio-tempo, il cui disegno finale sono io. Io, espressione vivente della veridicità della teoria del multiverso, contengo dimensioni parallele che tento di far coesistere dentro di me più o meno con successo.
Lo schizofrenico risultato è che stasera ad esempio, raggiungo contemporaneamente in bici il tempio khmer di Angkor, passeggio nel cortile della Moschea Reale nella città iraniana di Esfahana ...e sono seduta sul divano di casa mia a fissare il muro.

Mentre mi chiedo quando riusciro' a "creare un varco" e a partire davvero, ecco che mi ricordo di Jack Folla, il leggendario dj condannato a morte negli Stati Uniti, immaginato da Diego Cugia.
Ascoltavo spesso il programma alla radio, mi rapivano i suoi monologhi dalla cella di detenzione 2 metri per 3 e non è per niente un caso che io lo pensi proprio adesso.
Sento le sue parole echeggiare nell'aria e sorrido:
"Se siete soli, stanotte, prima di infilarvi sotto le pezze, mettetevi in piedi nella vostra stanza, in un angolo, e fissate il muro. Al di là dell'oceano io farò lo stesso. Un uomo solo che guarda un muro è un uomo solo. Ma due uomini che guardano il muro è il principio di un'evasione."

 

Se vuoi sapere quando verrà pubblicato un nuovo racconto, iscriviti qui.