La comunicazione nelle relazioni è un tema che mi affascina moltissimo e allo stesso tempo mi dà da fare.
Un modo davvero originale di comunicare qualcosa, che forse non sapeva nemmeno di conoscere, lo trovò mia figlia anni fa.


Quando era quindicenne decise di celebrare il secondo anniversario della storia con il suo ragazzo di allora, creando un regalo handmade: avrebbe preparato, col mio aiuto (sigh) una scatola piena di bigliettini. Uno per ogni giorno di quei due anni. Su ogni bigliettino avrebbe scritto un ricordo, fatto un disegno, copiato una poesia o una frase di una canzone d'amore.
Incredula per aver partorito cotanta creatività mi disposi a subirne le conseguenze, non senza aver tentato di dissuaderla, almeno, dall'utilizzare la scatola nera che mi stava mostrando.
A nulla servirono le mie spiegazioni sul fatto che le "scatole nere" sono quei dispositivi elettronici di registrazione dati, installati negli aerei e nelle navi, che spesso vengono nominati dopo un incidente, e che quindi usare una scatola nera poteva portare a strane conclusioni.
A nulla servì ricordarle che il suo ragazzo, essendo un maschio, non era certo geneticamente programmato per leggere 730 bigliettini - perché di 730 si trattava - tutti insieme.
Ma cosa può una madre di fronte ad un amore adolescenziale? "GNENTE".
La preparazione dei bigliettini richiese, oltre al mio coinvolgimento, anche quello di un paio di sue perplesse amiche. Mentre noi li numeravamo e cercavano il materiale, lei coordinava i lavori.
I giorni passavano e la preparazione del regalo procedeva troppo lentamente. Io e le sue amiche intanto eravamo riuscite a defilarci in modo più o meno elegante.
L'ultimo giorno utile prima dell'anniversario mia figlia era intrattabile.
Si era chiusa in camera sua, non rispondeva al telefono, aveva saltato sia il pranzo che la merenda per provare a finire questa impresa in tempo. Era uscita solo un attimo, nel tardo pomeriggio, in preda al panico: ancora mancavano 250 bigliettini!!
Una specie di catastrofe!
Invece, neanche due minuti dopo, me la sono vista arrivare davanti tutta sorridente.
“Ho finito” mi ha comunicato trionfante mettendomi la scatola in mano.
Mi sono seduta, stordita dal suo repentino cambio di umore, e l'ho aperta.
Dentro c'erano tutti i bigliettini piegati in due e sotto al coperchio c'era attaccato un foglio con scritto:
<<BUON ANNIVERSARIO.
730 BIGLIETTI, UNO PER OGNI GIORNO TRASCORSO INSIEME...
QUELLI BIANCHI SONO I GIORNI DA DIMENTICARE>>.
Ahahahahah!!!! Geniale. Ancora rido al pensiero.
Non credo che mia figlia si sia resa conto della portata della sua comunicazione non verbale, non so se il suo ragazzo abbia poi effettivamente aperto tutti i bigliettini e neppure se questo regalo abbia influito sulla fine della loro storia, avvenuta poche settimane dopo, ma so che l'inconscio pensa, reagisce e si esprime attraverso i simboli.

Anche il concetto di reciprocità nelle relazioni mi affascina moltissimo e allo stesso tempo mi da da fare.
Qualche settimana fa è capitato che io e la mia amica Tereza ci trovassimo a condividere le nostre riflessioni in merito.
"Prendiamo ad esempio due punti, uno lo chiameremo A e l'altro B. La distanza tra A e B è di 100 ipotetici passi. La loro relazione si può definire reciproca se sia A che B si muovono l'uno verso l'altro? E magari facendo anche più o meno lo stesso numero di passi, non ti pare?" le ho chiesto.
Dopo qualche secondo di silenzio, durante il quale entrambe cercavamo di sfogliare mentalmente il catalogo delle relazioni d'amicizia o d'amore, presenti o passate, nostre o di altri, che potessero avvalorare questa ipotesi, senza peraltro trovarne nemmeno una, abbiamo sospirato in contemporanea.
Poi, col tono di non-sto-chiedendo-per-me-chiedo-per-un'-amica, ho continuato "E se invece A, perché le - ops... anzi... - gli viene spontaneo o forse per timore che B non venga nella sua direzione, fa sempre la maggior parte del tragitto, diciamo 90 passi, e quindi B solo 10? Per incontrarsi si incontrano, ma questa ti pare una relazione reciproca? Perché si possa parlare di reciprocità, se abbiamo detto che B fa 10 passi, allora anche A dovrebbe farne solo 10!".
E ancora: "Così facendo però, gli 80 passi incompiuti creerebbero una distanza tra i due che spaventerebbe molto A, se guardiamo la cosa dal suo punto di vista".
Tereza ha pensato un po' poi ha risposto: "E se quello spazio che A lascia che sia, fosse magari il Posto dove finalmente tocchi anche a lei di essere cercata, motivata, sollecitata, illuminata, spinta o tirata?".
"Certo è, che perché quello spazio possa trasformarsi in Posto, occorre del tempo, durante il quale A ce la farà ad aspettare in compagnia della sua paura?" ho commentato io.
Già, perché nel terribile spazio tra A e B ci vivono i Mostri.
Sono i mostri del non-ancora-Posto. Volatitili brutti ma con piumaggi leggeri, vermi che invece di strisciare saltellano ridicoli in verticale, millepiedi pieni di potenzialità ma con le gambe corte.
Esserini anche, volendo guardare bene, quasi graziosi.
Non vale la pena familiarizzare con loro però,  perché mica durano. Sono precari. Tanto, o lo spazio tra A e B diventa una voragine incolmabile, oppure si riduce ad un solco che si può superare facilmente.
Non è il caso di affezionarcisi, né tantomeno tentare di addomesticarli. Loro non sono volpi e qui non c'è nessun principe.

Mi viene in mente quel gioco che facevo da bambina dove si recitava la filastrocca: "Regina reginella, quanti passi devo fare per arrivare al tuo castello, con la fede e con l'anello?....".
La compagna di giochi che interpretava la regina ordinava a ciascuno degli altri quale numero di passi doveva fare per raggiungerla e chiedeva di farlo imitando un animale, tipo: "5 passi da leone, 4 passi da elefante..." e così via. Nel caso qualcuno le stesse antipatico glieli faceva fare da gambero, costringendolo ad allontanarsi camminando all'indietro.
Ma forse... stai a vedere... magari si potrebbe dire che anche nelle relazioni ognuno cammina solo con le "gambe" che ha?
Ammettiamo ad esempio che B abbia le gambe da formica, 6 piccole corte zampette. Ad un primo sguardo superficiale, potrebbe sembrare che non si sia spostato quasi per niente dalla sua posizione per andare incontro ad A, anche se invece, poraccio, in realtà lui di passi, anzi in questo caso di passettini, ne ha fatti tanti!
Mmmmm...
Forse la cosa migliore, sempre ammesso che riuscissimo a decentrare il punto di vista, sarebbe quella di non chiedere a qualcuno di essere ciò che non è. Di non aspettarsi cioè che una formica salti come un canguro e arrabbiarsi se non lo fa.
Lasciamo perdere il fatto che la formica per farsi bella potrebbe averci fatto credere di essere un canguro; lasciamo perdere che, dopo aver desiderato un canguro per tanto tempo, ce ne siamo fatti andar bene anche uno finto; lasciamo perdere queste quisquilie e smettiamola di riflettere di continuo, che riflettere di continuo è un'attività veramente rischiosa.

Scrivere un racconto che tratta questi argomenti durante la terza, nonché ultima, retrogradazione di Mercurio del 2020 è da audaci. Ma la fortuna, si sa, li premia.
Per non sfidare ulteriormente la sorte direi comunque, usando lo stile comunicativo di Tereza, che "dall'inconscio simbolico, per oggi, è tutto".

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