La stanza degli ospiti


Ho creato questo spazio per gli amici
che con i loro racconti passano di qui...

Fa caldo nel pulmino che ci sta trasportando a Ithezi Thezi. La stagione delle piogge è finita, le giornate si susseguono in una sorta di calda primavera, sempre con cielo terso squarciato talvolta da innocue nuvole di panna.
‌Lusaka è ad oltre mille metri di quota. Lusaka, la capitale sconfinata di case e baracche, di promesse e speranze spesso non mantenute. Raggiungere la stazione degli autobus di Lumumba non è stato facile. Il taxi ci porta tra strade intasate di veicoli e pulmini di ogni genere, gente a piedi o con carretti sguiscia via per ogni minimo solco lasciato libero dal traffico nelle strette vie del quartiere centrale di Town.

‌Un ipotetico pulmino doveva essere in partenza per le 9 del mattino. Arriviamo tardi, il pulmino è già pieno. Toccherà aspettare altre ore il prossimo, nel pieno mio sconforto che non ammette la possibilità di perdere minuti preziosi di tempo altrimenti destinati a ben altre occupazioni.
‌Mi guardo intorno e vedo volti pazienti quasi farsi beffe delle mie ansie. Volti che attendono da secoli un pulmino che non passa.

Finalmente arriva l'ora della partenza e si sale sul mezzo che, neanche a dirlo, viene stipato all'inverosimile di genti e merci. Ogni possibile anfratto è occupato da qualcuno o qualcosa. Sopra di me sento un cinguettio sconsolato provenire da un cartone ricolmo di pulcini. Sacchi di cibo e verdure penzolano sulle nostre teste. Madri amorose intorno a me abbracciano la prole con un poppante al seno ed un altro figlio in braccio. La dignitá e la pazienza in quegli sguardi che non dimenticheró mai più. Io mi vergogno del mio fastidio nel dover affrontare il viaggio con il mio zaino in braccio. Osservo i volti intorno a me e mi commuove la compostezza e l'infinita pazienza nell'affrontare il disagio. Neonati piangenti o sorridenti passano di braccio in braccio in un'improvvisata adozione collettiva. Ovviamente sono l'unico bianco ma non leggo altro negli sguardi se non curiosità e gentilezza.
‌Se inverto le parti e immagino un viaggiatore di colore in mezzo a bianchi so che coglierò altro che non sola benevolenza. E di nuovo mi vergogno.

‌Il viaggio per Ithezi Thezi è lungo ma qui in Zambia tempo e spazio sono concetti assai relativi.
‌Ogni poco il pulmino si ferma per far salire nuovi passeggeri che vengono collocati in angusti seggiolini improvvisati. Oppure si ferma a mettere gasolio ma a pochi litri per volta.
‌Poi ci sono i posti di blocco della polizia dove probabilmente si mercanteggia sul diritto di transito.

‌Si parte e si arriverà prima o poi. Una pausa viene dedicata ai bisogni corporali dei passeggeri che rapidamente si disperdono nelle campagne circostanti. Un'altra invece per comprare cibo e bevande dai venditori che si affollano ad ogni mezzo che rallenta.
‌Bibite di tutti i colori portate in cesti in equilibrio sulle teste: arachidi bollite, pannocchie abbrustolite, frutta, caramelle sfuse.
‌Alcuni banchi a bordo strada vendono invece nshima (una specie di polenta bianca che si accompagna a carne o verdure) da mangiare rigorosamente con le mani.

‌Come è lontano l'eco della pandemia... Le ansie, le privazioni, i lutti ed i vaccini....
‌Nessuno nel pulmino accenna neanche ad indossare un'inutile mascherina nel groviglio di corpi in coabitazione per innumerevoli ore.
‌Ad un tratto l'unica fonte di refrigerazione, i finestrini aperti, deve essere chiusa perché la strada diviene sterrata e composta di una polvere talmente sottile da incrostarsi ovunque.

‌Ora il bush, la savana, è tutto intorno. La boscaglia si alterna a campi di mais e girasole strappati alla natura a forza di roghi.
‌Poi pian piano si iniziano ad intravedere case sparse, capanne di terra e paglia o talvolta in mattoni.
‌I passeggeri iniziano a scendere, siamo quasi arrivati a Ithezi Thezi, ma il viaggio non è ancora finito.