La stanza degli ospiti


Ho creato questo spazio per gli amici
che con i loro racconti passano di qui...

Ho studiato l'Eneide in latino e un milione di anni fa.
Di tutta la vicenda mi ricordo poche cose tipo che ad un certo punto Enea arriva a Cartagine, città governata dalla regina Didone, che ad un altro punto lui le fa un discorso prima di partire (e lasciarla) e che lei viene aiutata da Iris a morire.

Oggi ripensavo a questa storia e a quello che pensavo rispetto a queste vicende all'epoca. Due cose nello specifico: una è rimasta identica, cioè ancora oggi, ripercorrendo la storia ho lo stesso pensiero in merito, l'altra invece oggi la guardo con nuovi occhi.

Parto dalla prima. Iris.
Didone decide di uccidersi mentre vede Enea salpare.
Lo decide andando contro alla sorte che le Moire stavano tessendo per lei, così si ritrova bloccata tra la vita e la morte.
Morta ma ancora legata alla vita con un filo, vado a memoria.

In questo travaglio di dolore e di tormento perché non è più viva e non riesce ad essere nemmeno morta arriva Iris, la messaggera degli dei. Iris, poco citata e poco nominata nelle tante faccende della mitologia, arriva dal nulla con ali dorate e luce arcobaleno e fa un atto grandioso. Taglia quel filo invisibile che lega Didone alla vita, permettendole finalmente di morire e trovare la pace che aveva scelto per sé.
Nessun mandato divino, lo fa per pura compassione perché non poteva sopportare più di vedere una donna ferma in quello stato.

Viva Iris, siempre.

 

La seconda è il discorso di Enea ed è invece la cosa su cui ho cambiato opinione.
Va più o meno così.
Enea arriva a Cartagine, inizia una storia d'amore con Didone e poi ad un certo punto decide di partire per Roma.
Didone non la prende benissimo e quando lui le dice che partirà, piange e si dispera. Non ricordo le parole di lei ma la risposta di lui si.
Dice qualcosa come - smettila di piangere, non lascio Cartagine per volontà mia - facendo intendere che deve seguire il suo fato, il destino che gli dei gli hanno preparato che prevede che lui salpi alla volta di quella città che deve fondare.

All'epoca, un milione di anni fa, avevo trovato questo discorso romantico.
Ci avevo letto un amore che non poteva essere e un destino più grande da compiere.

Oggi ci pensavo, pensavo proprio a questo, e pensavo – stronzate -.
Davvero Enea se ne va semplicemente perché è questo che gli dei vogliono da lui?
Io oggi dico no, questa è la storia che si racconta e che racconta a Didone.
In verità (in verità vi dico) penso che Enea se ne va semplicemente perché non la ama. Si ok, gli dei gli hanno affidato un destino ma lui, lui ci vuole andare a fondare la sua città.
Ci vuole andare più di quanto voglia restare con Didone e questo per me vuol dire che ama più l'idea del suo grande destino di quanto ami l'idea di stare con lei.

Questa constatazione non mi porta ad odiare Enea.
Ok, avrebbe potuto dire la verità ma forse davvero neanche lui era così consapevole di quel che provava, forse era un invasato, come tutti gli eroi o comunque vabbè, fatti suoi, ha preferito così.

Tutto questo mi porta piuttosto a guardare Didone con occhi nuovi.

Mi ricordo che dicevamo Didone sedotta e abbandonata.
Sedotta e abbandonata un corno, dico adesso.
Didone è una regina, non è una sprovveduta, è una che regna.
Regna in un tempo in cui alle donne greche quando andava bene non facevano fare altro, (almeno nei racconti che ci tramandano) che piangere mariti morti in guerra o aspettarli (se non erano ancora morti).
Lei regna, da sola, una città prospera e ricca.
Quindi no, non viene sedotta come fosse una stupida.
Lei si innamora e il suo innamorarsi è un azione agita, non subita.
Lei si innamora perché anche le regine provano emozioni, anche le regine provano sentimenti e anche le regine entrano in relazioni, senza per forza sapere dove queste le porteranno (e chi lo sa davvero, d'altronde?).
Si innamora, inizia una relazione, la vive e ad un certo punto realizza che la storia è finita.
Viene lasciata da Enea, è vero, ma lasciare è molto diverso da abbandonare.
Didone non è un cucciolo che viene adottato e poi lasciato in una strada deserta.

E' una donna che ama un uomo anche se lui ne sta andando.
E' una donna alla fine di una relazione, punto.

Quel che fa Didone alla fine di questa storia ci ricorda una cosa importante: in tutte le fini c'è una morte da compiere - metaforicamente parlando eh! - e compiere quella morte è uno dei passaggi più difficili delle fini.

Perché è vero che lui se ne va ma questo non basta per chiudere.
Per far finire realmente la relazione, abbiamo bisogno di lasciare morire.

Le aspettative, i desideri, i sogni e tutti i futuri possibili legati a quella relazione, l'idea di noi che avevamo e che deve cambiare per forza, per sopravvivere al nuovo.
E' la fenice che brucia senza aver garanzia della resurrezione.
Uccidere tutto questo è così difficile che infatti, anche quando ci proviamo e lo facciamo, resta un filo, che ci tiene appese.
Siamo noi, sono gli altri, chissà ma quel filo è lì e ci continua a legare.

Per cui Iris, cara Iris, mi rivolgo a te.
Abbi pietà di noi quando affrontiamo una fine.
Abbi pietà e stacci vicina quando viviamo quel passaggio.
E se vedi che quel filo non si stacca, non farci tribolare troppo.
Vieni giù sulle tue ali arcobaleno e taglialo.
E liberaci.
E riportaci un po' di luce.

Ne abbiamo davvero bisogno.