A settembre mi sono iscritta con Ester ad un laboratorio di autobiografia in 5 incontri. Non ho avuto neppure un attimo di esitazione, pensando che, siccome mi piace scrivere, sarebbe stata una cosa divertente da fare insieme.
In verità non so mica cosa mi aspettassi di preciso! Fatto sta, che durante il primo incontro, dopo aver conosciuto le docenti e le altre partecipanti, e dopo aver ascoltato la lettura di alcune pagine di un libro, che ci avrebbero aiutato ad entrare nel tema della serata, ero ancora tutta sorridente.
E cieca.
Come solo gli inconsapevoli sanno essere.

Il miracolo del recupero della vista avvenne di fronte alla prima proposta di scrittura: FARE UN ELENCO DELLA SCELTE DELLA PROPRIA VITA.

Nessun grido di stupore da parte delle presenti accompagnò il mio silenzioso urlo interiore "ohh nooo, ora ci vedooo", anzi erano tutte già con la penna in mano. Io invece, di fronte alla rivelazione del tranello che mi ero tesa, pensavo con terrore: "Mica starò facendo un altro percorso di crescita personale, tipo guardarmi e aumentare la consapevolezza su di me e tutta quella roba lì...?", "Mica dovrò riflettere, pescare a mani piene dal fondo, ravanare nel fango, magari commuovermi e poi leggere a voce alta quello che ho scritto davanti a tutte...?".
Volevo alzarmi e dire: "Ehhhh mi sono appena ricordata di un impegno preso precedentemente, vogliate scusarmi ma devo andare".
Poi, con lo spirito della condannata a morte, mi sono chinata sul foglio e, rassegnata, ho cominciato a scrivere senza tener conto dell'ordine cronologico:
1. Separarmi
2. Sposarmi
3. .....

Quando esci da un ambiente buio e fuori c'è il sole ti viene da strizzare gli occhi e cercare subito nella borsa gli occhiali per difenderti dalla troppa luce.
Ecco io avevo la stessa sensazione di disagio mentre rileggevo il mio elenco: tutta una vita a scegliere, in modo inquietantemente quasi ritmico, cose e il loro esatto contrario. Ero una specie di pendolo che aveva oscillato toccando gli opposti, un metronomo, ma....attenzione signore e signori....in questo movimento tra di qua e di là ero passata chissà quante volte anche dalla via di mezzo.
Mmmmmmhhhhhhh, alla fin fine la traiettoria era quella di un'enorme smile!

Negli incontri successivi abbiamo approfondito le nostre esplorazioni, usando sempre la scrittura come strumento di indagine personale. A volte le parole, mie o delle altre, erano bombe a mano, altre petali di rosa. Si piangeva e si rideva.
Ringrazio le docenti e le compagne di questo mio viaggio. Donne di cui ho intravisto la faccia coperta dalle mascherine ma delle quali conosco la voce. Donne con cui sono stata seduta a distanza mentre i nostri cuori si avvicinavano senza nessuna limitazione.

Più o meno a metà del percorso, quando, dopo tutte le condivisioni dei nostri testi, con le altre, eravamo già ad un livello di intimità tale da poterceli leggere praticamente in mutande, abbiamo fatto un gioco: dovevamo riflettere su quali fossero i fili conduttori che avevano attraversato la nostra storia e tenuto insieme le nostre scelte, poi decidere, tra i gomitoli di lana di vari colori ammucchiati sul tavolo, quelli che volevamo li rappresentassero, tagliarli ed incollarli su un foglio, creando un disegno. Il tutto in silenzio.

I fili si facevano strada nelle mani, unendo i puntini delle vite di ciascuna senza soluzione di continuità.
Io fissavo quelli che avevo scelto e non ricordavo più gli abbinamenti decisi.
No va beh....e ora...?
E ora niente, si fa come sempre, come quando in passato, dopo aver preso una decisione mi sono poi dimenticata del perché l'avevo presa. Cosi sono andata avanti e ho cominciato ad incollare i fili, contando sul fatto che se li avevo scelti un motivo c'era e ho lasciato che accadesse qualcosa.
Credersi, insomma.

Mentre la forma si manifestava mi sono accorta che l'ultimo filo, l'unico che toccava tutti gli altri, intrecciandoli, essendo bianco come il foglio, quasi non si vedeva.
Poco male, io sapevo che c'era.
Quello era il solo di cui mi ricordavo l'abbinamento. Rappresentava la fede in me stessa.

Al termine dell'esperienza, con le nostre opere d'arte posizionate per terra, ognuna di noi doveva scrivere un testo, dal quale poi trarre un petit-onze.

Cheeee...? Un petit che....?
Il petit-onze ("piccolo undici", in italiano), ci ha spiegato una delle conduttrici, è un componimento poetico che si caratterizza per la struttura delle parole disposte a formare una sorta di albero.
Una parola sulla prima riga, due sulla seconda, tre sulla terza, quattro sulla quarta e una sull'ultima. Undici parole in tutto, appunto.
L'origine di questo tipo di composizione breve viene attribuita alla scuola del poeta e scrittore surrealista francese André Breton.
Noi quindi dovevamo scegliere undici parole tratte dai testi che avevamo scritto sul tema dei fili conduttori e creare un petit-onze che ne desse magicamente il senso.

Questo in fondo alla pagina è il mio.
La cosa più ridicola e più meravigliosa che io abbia mai scritto.
Tanto buffa quanto struggente nella sua nuda e cruda verità. Espressione della mia essenza.



ABBINAMENTI
NON RICORDO
LASCIO CHE ACCADA
BIANCO NON SI VEDE
C'È

 


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