Se n'è andata una mattina di aprile del 2020. Il mondo intero era in quarantena da quasi 2 mesi. Lei da quasi 11 anni.

La conseguenza di abitare in un'appartamento al quarto piano è che i miei gatti non possono uscire.
Hanno sempre vissuto in casa e sono stati una "presenza importante" diciamo.
Gli amici che ci hanno frequentato nel tempo, soprattutto quelli che ho ospitato a dormire, hanno definito in questo modo, e anche in altri moooolto meno eleganti, il loro "esserci sempre e comunque".
Da quando poi, prima mio figlio e dopo mia figlia, si sono trasferiti altrove per studiare all'università, la nostra relazione si è fatta ancora più intima.

La verità è che io avevo paura dei gatti. La leggenda narra che verso i 3 anni, un micino con cui stavo giocando si arrampico' sulla mia gamba e da allora non ne ho più voluti intorno. In realtà, da grande, ho compreso che quello che mi spaventava era l'istintualita', il loro essere imprevedibili. Se mi capitava di restare per la notte da qualcuno che aveva gatti in casa mi sprangavo in camera. L'idea di non avere il controllo della situazione durante il sonno mi era insopportabile.

Quante volte ho letto, o ascoltato nei seminari di crescita personale frequentati negli anni, che per affrontare le proprie paure occorra farle entrare nella propria vita e diventarci amici!
Non posso certo affermare che sia stata una scelta progettata a tavolino, con lo scopo di fare un salto evolutivo, quella di innamorarmi di un uomo che aveva gatti in giro per casa...però è successo, e adesso mi sento la prova vivente che non erano tutte balle.
Ringrazio quest'uomo, maestro assolutamente inconsapevole, che mi ha dato la possibilità di avvicinarmi piano piano ad un animale libero, indipendente, intuitivo e magico.
Ringrazio anche me stessa per aver avuto il coraggio di avventurarmi in territori misteriosi, e per questo temuti, fuori e dentro di me.
Ma torniamo al racconto...

Un paio di settimane prima che lei ci lasciasse, il gatto Furio era stato molto male. La veterinaria, nel tentivo di salvarlo, aveva deciso per il ricovero. Quando sono tornata a casa col trasportino vuoto ci siamo guardate un po' perse. Per la prima volta eravamo solo noi due. La stessa notte lei, che non miagolava mai, ha intonato un lamento straziante. Mi sono rialzata dal letto e ho provato a consolarla accarezzandola.
Abbiamo pianto insieme. Un'umana in ginocchio e una gatta. Nessuna differenza di contenuto, solo di forma.
Durante i giorni successivi abbiamo goduto della reciproca compagnia in attesa, ogni sera, di ricevere notizie di Furio da parte della veterinaria.
Quando finalmente l'ho riportato a casa mi aspettavo grandi effusioni tra loro, invece incredibilmente, ogni volta che lui tentava di avvicinarsi, lei gli soffiava tenendolo alla larga.
Ridevo al telefono con i miei amici raccontando il suo comportamento.
La rivolta femminista felina. Anni e anni di sudditanza e adesso, dopo aver sperimentato come poteva essere la vita vissuta da protagonista, i patti tra lei e Furio andavano rinegoziati. Solo così poteva nascere un nuovo tipo di convivenza.
È stato proprio dopo una di quelle conversazioni telefoniche che mi sono improvvisamente ricordata dell'origine del suo nome.

Avevo scelto Freeda.
Mi piaceva l'assonanza con freedom, una specie di declinazione femminile della parola "libertà" in inglese. Mi ero separata da un anno e ho sempre amato i simboli. In più lo sentivo particolarmente adatto a una tipa come lei che aveva rischiato la vita, viaggiando per tre giorni nel motore di un suv, per arrivare fino a me.
I ragazzi me lo bocciarono. Nel pieno dell'adolescenza si sentivano gli unici ad avere il diritto di pronunciare quella parola. Pur di non darmela vinta l'hanno chiamata per tutto il tempo Lagattina, con una determinazione tale, che mi hanno contagiato e ho finito pure per non ricordare il perché della doppia "e", arrivando al punto di pensarla come Frida con la "i".

Si dice che le conquiste non siano acquisite per sempre, si dice che occorra rimanere vigili. Come avevo potuto dimenticare?

Non ho fatto in tempo a gioire di questa ritrovata consapevolezza che dopo due giorni, inaspettatamente, Freeda è morta per arresto cardiaco.
Oltre al dolore per aver perso una compagna di vita, adottando uno schema interpretativo che mi porta a nutrire i valori che m'ispirano, mi piace credere che il suo compito di messaggera del "ricordo di me" fosse giunto al termine.

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